Modena Play 2018 – day two

Modena Play Day Two

Proseguiamo il nostro viaggio alla Modena Play con il day two.

Se non hai leto il day one: ecco il link.
Pronti via e falsa partenza per chi, come me, dimentica di mettere la sveglia. E chissà che questa ora di sonno in più non programmata, alla fine di una lunga giornata, possa tornare utile, come in quei German lunghi e complessi dove partire per ultimi ci costringe a cercare nuove strategie perché le migliori sono tutte occupate. Partiti in fretta e furia perché il mio amico Nicola ha un appuntamento con il destino… pardon con il torneo di Star Wars Destiny, da cui ricaverà ottimi frutti, raggiungo allo stand Cranio Creations la sezione romana dei GoS che affronta il primo turno di Pulsar 2849.

Ammetto che ho un debole per i giochi di gestione dei dadi (I Castelli della Borgogna e Sulle Tracce di Marco Polo sono tra i miei titoli preferiti e ogni tanto non disdegno una partita virtuale su yucata.de) e questo Pulsar ha diverse caratteristiche che potrebbero attrarmi (anche se da osservatore esterno mi è sembrato che il tavolo fosse poco scorrevole). I GoS ne sono rimasti entusiasti quindi spero quanto prima di avere l’occasione di provarlo. Dopo una fase di studio, mi incammino nella vasta umanità che affolla la fiera in cerca di un’alternativa dadosa e grazie agli amici di Rubiera in Gioco mi ritrovo davanti a Sagrada, un gioco astratto da uno a quattro giocatori dove, attraverso la scelta di piccoli dadi coloratissimi, ogni giocatore prova a comporre una delle vetrate della Sagrada Familia. Il gioco mi cattura subito (e alla fine sarà uno dei pochi titoli che mi appunterò come “da prendere” per la mia collezione) non solo per le modalità di selezione e gestione dei dadi ma anche per la possibilità di avere in ogni partita sempre modalità diverse di fare punti, regole aggiuntive per il piazzamento dei dadi e un’enorme varietà nelle plance giocatori e nell’estrazione casuale dei colori dei dadi. Personalmente trovo Sagrada per durata, complessità e interazione tra i giocatori a metà strada tra I Castelli della Borgogna (decisamente più complesso) e il bellissimo Azul (nettamente più immediato). Quest’ultimo è stata la star della PLAY (il fatto che Sagrada è il gioco che mi ha colpito maggiormente a Modena è solo perché conoscevo già Azul 😉 ). Consiglio fortemente ai pochi che non hanno ancora avuto modo di giocarci di rimediare il prima possibile. Il gioco è un capolavoro di semplicità, pur mantenendo allo tempo stesso profondità e variabilità di gioco da una partita all’altra. L’enorme successo che sta riscuotendo è più che meritato!

Andiamo sul pesante…

Completato il riscaldamento ludico, decido che è tempo di andare a caccia di cinghiali teutonici e mi siedo di fronte a Trajan di Stefan Feld (ripubblicato recentemente dalla Red Glove). Ambientano nella Roma imperiale del primo secolo, all’epoca dell’imperatore Traiano, il gioco si struttura su sei diverse sezioni (militare, economico, commerciale, legislativa, edile e imperiale) che di volta in volta ogni giocatore sceglie attraverso l’antica meccanica del “mancala”. Il gioco, benché tecnicamente ben costruito, non è tra i miei preferiti, per l’elevata complicatezza, per l’insalata di punti (che porta l’ambientazione sullo sfondo) e per la modalità di gestione del tempo che varia da giocatore a giocatore e che se non viene attentamente tracciata rischia di esser spesso dimenticata. Ritengo ci siano eurogame migliori e, poiché il tempo è per tutti un vincolo, preferisco dedicare tre ore a molti altri giochi prima di impegnarmi nuovamente su un titolo del genere.

A Modena non c’è tempo da perdere e quindi, recuperati i GoS romani, ci si tuffa allo stand di Dal Tenda a provare The Chameleon, un party game semplice (ma non troppo) dove, partendo da un gruppo di parole legate a un argomento comune (ad esempio sul tema genere musicale, le parole proposte sono blues, rock hip hop, …), ne viene estratta una chiave, nota a tutti tranne che al giocatore cui è capitato casualmente il ruolo del camaleonte. Il gioco consiste proprio nel dire, a turno, una parola che sia simile alla parola chiave ma che non renda troppo facile per il camaleonte capire quale essa sia. Il camaleonte può vincere in due modi: non facendosi scoprire dagli altri giocatori oppure indovinando la parola chiave. Il meccanismo mi ha ricordato Dixit ma la presenza di un singolo giocatore privo di fantasia può rendere assai agevole la strada al camaleonte. La partita ha visto il successo di Temistocle che ha tratto vantaggio dal fatto di non capire mai quale fosse la parola chiave (anche quando avrebbe dovuto esserne a conoscenza), e facendo sì che nessuno lo ritenesse il vero camaleonte. In ogni caso il gioco è un bel party game per idea e grafica, che ben si presta a serate spensierate.

Dopo aver riposato la grigia membrana, decidiamo di andare dalla Placentia Games, nell’altro padiglione della fiera (che è stato un po’ come attraversare un oceano di persone), per ritrovarci indietro nel tempo, tra gli Indiani d’America che abitavano la regione dei grandi laghi. Wendake è un Kickstarter tutto italiano, un eurogame dal peso elevato che avevo già provato un paio di volte a Morbo Ludens. Al tavolo troviamo un divulgatore gentilissimo e molto preparato che con una fantastica e precisa spiegazione ha consentito ai GoS di apprendere ambientazione e funzionamento del gioco in modo ottimale (guardate il video che abbiamo girato perché è un tutorial perfetto). Il gioco è un mix di piazzamento lavoratori, gestioni risorse, controllo del territorio e set collection, in pratica di tutto un po’. Personalmente lo trovo più debole di altri titoli di peso similare e ritengo che la parte del culto degli dei (ovvero il set collection tramite carte maschera) sia un po’ appiccicata sopra e poco integrata con il resto del gioco, al tempo stesso mi piacciono le modalità di gestione e selezione delle azioni tramite tris su un quadrato 3×3 così come le quattro scale di punteggi (per ogni coppia si prende il valore inferiore facendo sì che a fine partita gli scarti siano estremamente ridotti). Di fondo il gioco è ben costruito (molti GoS se ne sono innamorati) e merita un paio di partite, ma secondo me rimane un gradino inferiore ai grandi classici del genere. Giochiamo fino al termine del terzo dei sette turni previsti anche per consentire ad altri di provare il gioco (ricordate che le fiere sono un’occasione per provare un grande numero di giochi senza terminarne alcuno e senza vincitori né vinti).

Visto che abbiamo parlato di Dixit…

Visto che abbiamo parlato di Dixit, non potevamo esimerci dal provare Feelinks, il nuovo gioco ideato da Jean-Louis Roubira, autore proprio di Dixit. Ecco, sgombriamo subito il campo da ogni equivoco, Feelinks non è il successore di quel capolavoro. In questo i giocatori si confrontano con le emozioni che scaturiscono da domande su tematiche sociali (ad esempio: da domani viene istituito l’obbligo di voto, quale emozione vi suscita questa decisione?) e dopo aver espresso segretamente la loro emozione tra un novero di otto possibili scelte, ogni giocatore prova indovinare l’emozione di un altro giocatore. I punti si fanno se si indovina l’emozione dell’altro e se viene indovinata la propria. La grafica delle carte emozioni è ai livelli Dixit ma per il resto non ho trovato il gioco riuscito. A mio parere è che se mi viene chiesto di pensare riguardo ad un tema allora cerco di formulare un’opinione, non rifletto sull’emozione che mi suscita. Chiedere questo lo trovo personalmente difficile (forse anche perché sono un gelido nordico), le emozioni attengono ad una sfera profonda e personale e spesso sono difficilmente immaginabili quelle altrui se non ci si trova in quella situazione. La sovrapposizione pensiero-emozioni, dunque, non mi sembra funzionale, anche perché le emozioni non sono così nette (paura, delusione, gioia, sollievo) e per quasi tutte è possibile trovare un collegamento con il tema affrontato. Ritengo che il gioco sia adatto per un pubblico non adulto che, attraverso emozioni, può essere facilitato nell’esprimere opinioni che altrimenti farebbe fatica ad argomentare. Per una platea matura, invece, il gioco mi è sembrato slegato e non riuscito, manca la curiosità di comprendere quale sia il collegamento pensato dagli altri giocatori nell’abbinare un’emozione a una domanda. Nella partita di prova su una decina di domande si è generato dialogo solo una volta, credo basti per considerare il gioco poco riuscito.

Dopo questo viaggio emozionale, andiamo da Pendragon studio a provare un blockbuster come il gioco ispirato dalla serie Breaking Bad. Il titolo è sostanzialmente un Bang “con metanfetamine”. A differenza del gioco western i ruoli sono noti, rendendo il gioco piatto, ed inoltre per me è risultato inutilmente lungo già dopo i primi 5 minuti. Ammetto che alcuni dei partecipanti lo hanno trovato divertente, principalmente grazie all’ambientazione, ma rimango della mia idea: questo gioco sembra una furba operazione di marketing. All’interno della complessiva esperienza modenese, probabilmente questa è stata l’esperienza di gioco meno appagante. Se siete arrivati fino a qui vi sarete accorti che tendo ad esprimere le mie opinioni con forza, sono convinto che, a prescindere dal gusto personale, i giochi debbano essere pensati per un obiettivo e che vadano valutati in funzione della loro capacità di raggiungerlo. In Breaking Bad non sono riuscito a cogliere quale fosse l’idea di esperienza al tavolo per cui è stato disegnato e ritengo questo un limite su cui non si può sorvolare, anche perché la mole di giochi che l’industria attualmente produce è molto elevata e quindi ritengo opportuno fare selezione “naturale”.

Con la bocca ancora impastata da “metanfetamine” (di bassa qualità), vaghiamo per la fiera in cerca di un’ultima esperienza e così mentre una parte della frangia romana si dedica ad intervistare Alessandro Chiabotto, uno degli autori di un altro Kickstarter tutto italiano dal titolo King of Con (e che avendo avuto la fortuna di apprezzarlo in quel di GiocAosta mi auguro avrà successo, lo pledgerò sicuramente), ci incamminiamo verso un altro progetto italiano: 1347 – lo Giuoco della Peste Nera (il vero titolo è De nigrae pestis ludum ma rimaniamo sulla versione in volgare). In 1347 ci troviamo ad impersonare un cerusico che cerca di utilizzare le sue abilità mediche (o presunte tali) per acquisire influenza all’interno della città impestate e sfruttare lo Grande Morbo. Il gioco è un german che presenta principalmente tre meccaniche: piazzamento lavoratori, gestione risorse e offerte ad aste. Proprio quest’ultima è la meccanica più interessante, l’interazione tra i giocatori è, allo stesso tempo indiretta (principalmente attraverso le aste) e diretta (grazie ai sobborghi dove piccoli ladruncoli posso essere assoldati per derubare i vostri avversari), un elemento sicuramente originale. I turni di prova che abbiamo fatto mi hanno decisamente convinto, resta da capire se il gioco sia bilanciato viste le numerose opzioni. Altro pregio è che l’ambientazione si percepisce molto, merito anche delle carte servitore con il doppio lato (appestato, sano) i cui disegni sono di rara bellezza. Complimenti a Daniela Giubellini visto che anche solo per le sue illustrazioni il gioco meriterebbe una prova. Un ringraziamento all’autore Marco Mingozzi e ai ragazzi di Feudalesimo e Libertà per la disponibilità e l’intervista, oltre che per le splendide magliette… su tutte la geniale “Costa Crociate – Navighiamo per convertirvi!” Io, intanto, non vedo l’ora di partecipare alla campagna Kickstarter di prossimo avvio (23 maggio!).

Arrivati al termine di questa seconda giornata, ci incamminiamo verso un abbacinante aperitivo con gli amici del Dunwich Buyers Club e de Il dado incantato. Adoro i loro podcast per l’entusiasmo e la passione che riescono a trasmettere, ascoltandoli ho capito che ogni gioco può avere dei pregi, l’importante è comprendere lo scopo per cui è stato disegnato e se riesce a raggiungerlo, a questo poi si aggiunge il gusto personale e ognuno ha il suo. Al di là delle chiacchiere da aperitivo, quello che mi ha colpito è stata la sincera emozione di Ale, Banda, Mac e Jack di incontrare le persone che li ascoltano, sembravano dei bambini al primo giorno di scuola. Per chi ancora non lo facesse, ascoltatevi i loro podcast, se volete essere informati sul mondo dei giochi da tavolo non c’è niente di meglio in giro!

Direi che questo impegnativo day two può volgere al termine.

Link il terzo e ultimo giorno

Commento (2)

  • Modena Play Day Three - Morbo Ludens| Giugno 2, 2018

    […] Qui il resoconto del day two […]

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