Modena Play – day three
Ad ormai due mesi dall’apertura dei padiglioni, concludo il racconto della tre giorni modenese, anche se l’impatto della fiera sui nostri tavoli è tale che gli effetti proseguono per tutto l’anno.
E allora day three sia
Pronti via e si parte all’arrembaggio con Dead Man’s Doubloons della GateOnGames. Il gioco è uno scontro tra pirati che si svolge sia in mare a colpi di cannone ed arrembaggi che sull’isola dove i rispettivi capitani seguendo brandelli di mappa del tesoro (si quella con la X) cercano di raggiungere i dobloni prima di tutti gli altri. Il gioco si svolge pianificando le reciproche azioni mediante delle carte (quindi hand management) e una volta pianificate vengono svolte a turno (questo aspetto ricorda in parte ricorda Colt Express), alcune azioni richiedono il coinvolgimento di dadi e la possibilità di danneggiare gli avversari (molto bella la meccanica con cui i giocatori che perdono tutte le vite ricompaiono sotto forma di nave fantasma, con tanto di miniature ad hoc!). Il gioco si presenta apparentemente come un family game in realtà ha una complessità decisamente superiore (la spiegazione richiede non meno di un quarto d’ora) e nonostante la grafica da cartoon è un gioco di una discreta complessità la cui durata non è sicuramente quella indicata nella scatola (dice 45’, ritengo sia almeno un 60-90’). In aggiunta a tutto questo nella scatola sono presenti anche diversi moduli di espansione per aggiungere piccole variazioni delle regole tra una partita e l’altra, senza dimenticare il doppio tabellone, l’asimmetria delle ciurme e la casualità del setup iniziale per garantire una buona profondità di gioco. L’unico dubbio che mi rimane è che il packaging non sia coerente con l’esperienza di gioco, ovvero comunica di essere qualcosa di diverso da quello che realmente è, un gioco discretamente complesso (bgg gli attribuisce un peso di 2.22 contro l’1.87 di Azul, io lo collocherei sul livello di Istanbul) con una durata non banale e che ho trovato sicuramente piacevole alla prima partita (almeno nelle fasi iniziali) ma che mi ha lasciato poca voglia di intavolarlo una seconda volta.
Finita questa scoperta ne inizia subito un’altra e cosi allo stand Cranio Creation abbiamo la fortuna di conoscere gli autori di Newton, all’anagrafe noti come Nestore Mangone e Simone Luciani (ideatore tra gli altri di Tzolk’in, Grand Austria Hotel, Lorenzo il Magnifico e di quello che è uno dei miei preferiti in assoluto ovvero Sulle tracce di Marco Polo). Nonostante i precedenti dadosi, Newton è privo di questi poliedri a sei facce e non nego il dispiacere per questa assenza. Di base Newton è un gioco di combo per quattro giocatori sviluppato su più percorsi: vi è un percorso accademico legato agli studi del nostro scienziato che accumulando competenze sulla propria scrivania potenzia le proprie azioni, uno applicativo legato alla frequentazione delle migliori università d’Europa e alle logge massoniche che consente di accumulare tomi, uno nozionistico legato alla propria personale biblioteca e infine uno legato all’applicazione e dedizione dei propri aiutanti. Il gioco nei primi turni mi ha appassionato ma poi ripensandoci mi ha convinto meno. Il motivo principale è la bassa interazione (la competizione tra giocatori è limitata ad alcune carte disponibili e ai bonus presenti sulle mappe che premiano chi prima arriva secondo la meccanica già vista in Marco Polo), i cinque dadi del turno sono sostituiti da 5 carte con cui sviluppare ogni turno la propria strategia ed il livello di complessità direi che è quello di un titolo di livello medio, leggermente superiore ad un Santa Maria (di cui ho parlato al day one) ma distante da un Marco Polo.
Sempre allo stand Cranio Creations, era possibile provare anche l’atteso 13 giorni: la Crisi dei missili di Cuba 1962. Uno gioco strategico 1vs1 che trae ispirazione dal noto evento storico e da alcune delle meccaniche del famoso Twilight Struggle. La pubblicazione italiana è stata seguita da una serie di polemiche per la scelta di contenere i costi di produzione inserendo cartoncini in luogo dei cubetti di legno. Il gioco si svolge in tre intesi turni dove la fanno da padrone il bluff (in quanto ad ogni giocatore sono assegnati in modo visibile tre potenziali obiettivi di cui ne sceglie segretamente uno) e il bilanciamento tra il mostrare la propria forza senza innescare una guerra nucleare (durante il proprio turno ogni giocatore può incrementare la propria influenza sulla mappa generando contestualmente una maggiore facilità a premere il bottone rosso della bomba atomica oppure rinunciare a parte della propria influenza e contestualmente disinnescando la minaccia nucleare). Il gioco pur avendo una durata contenuta richiede una grande concentrazione per ognuna delle singole mosse, personalmente ritengo buona l’idea alla base del gioco ma poco riuscita la realizzazione sia perché trovo la plancia e i materiali poco comunicativi sia perché percepisco poco l’ambientazione, mi sono spesso ritrovato a pensare quanti cubetti poteva farmi piazzare questa o quella carta senza minimamente percepire l’evento storico a cui era ispirata (aspetto che invece in Twilight Struggle ho trovato molto più pervasivo). Se vi capita provatelo ma io preferisco Iron Curtain, magari vi racconto qualcosa di più in un prossimo post.
E dopo aver spremuto i nostri neuroni ad emulare Newton e a scongiurare conflitti atomici, è tempo di dedicarsi a qualcosa di serio come una gara tra mostri alla conquista della leadership. Si tratta di Creepy Falls della uplay edizioni un gioco italiano basato su un sistema di maggioranze attraverso lo schieramento di ghoul, streghe e vampiri che si accaparrano pezzi di corpi e fiale di sangue per accrescere il proprio prestigio. Ecco il gioco non mi ha minimamente convinto: meccaniche già viste, ambientazione praticamente impercettibile e bassa progressione del gioco man mano che ci si avvicina all’ultimo turno.
Per rifarmi con un vero combattimento, mi dirigo nell’area war games e attratto dalla bellezza degli scenari della Games Workshop decido di tuffarmi nel mondo di Warhammer Age of Sigmar. Allora premesso che la mia ultima partita a Warhammer risale ad almeno 20 anni fa, devo ammettere che la sensazione che ho avuto dai pochi turni giocati è stata decisamente positiva. Gli eserciti non sono più vincolati a rigidi formazioni rettangolari ma sono tutte unità di schermidori con il vincolo della prossimità, il gioco è nettamente più veloce e brutale rispetto alla lunghezza che caratterizzava le sue versioni precedenti. L’aspetto che mi ha convinto meno è l’ambientazione poco fantasy ed eccessivamente simile al futuristico 40K, avrei apprezzato di vedere i cari vecchi elfi e negromanti invece di queste armate angelico-demoniache. A parte questo, il gioco mi ha convinto e spero di riuscire ad intavolarlo nella sede di Morbo Ludens.
Ebbene siamo praticamente alla fine, ma avendo ancora qualche minuto perché negarsi la gioia di un filler. E allora alla dV Giochi proviamo The Game… ma lo conosciamo già tutti!
Ma qui si tratta di The Game Face vs Face, la versione competitiva 1vs1 dove i due giocatori si affrontano in una corsa ad esaurire prima il mazzo piazzando ogni turno almeno due carte in ordine crescente o decrescente avendo a disposizione ognuno una coppia di pile personali e potendo liberarsi di una carte anche collocandola sulle pile dell’avversario ma secondo il senso contrario (quindi salendo di valore sulla pila del nostro avversario dove lui deve diminuire creando di fatto un aiuto per lui). Nella sua semplicità il gioco è molto bello e si presta molto bene per partite veloci con scelte non banali, una certa dose di fortuna è ovviamente presente all’interno del gioco ma alla lunga trionfa il giocatore più astuto, capace di aiutare l’avversario quando gli conviene e di giocare solo sulle proprie pile quando l’avversario è in difficoltà. Nonostante la meccanica di base dei vari The Game sia sempre la stessa, questa variante aggiunge molto al gioco e lo consiglio vivamente.
E quando si pensa che The Game sia stato esplorato in tutte le salse possibili, ecco che arriva un colpo di genio come The Mind, appena candidato allo Spiel des Jahres 2018. Il gioco, che è quasi un non gioco a raccontarlo, è un collaborativo dove da 2 a 4 giocatori devono riuscire a giocare in ordine crescente le carte presenti nelle rispettive mani di ciascun giocatore, il tutto senza comunicare (credo che un gruppo di batteristi jazz data la capacità di tenere il tempo possa battere il gioco senza difficoltà). Acquistato a scatola chiusa, giusto per esaurire il budget, una volta tornati a casa è stato letteralmente divorato. Nelle settimane successive a Modena, proposto in occasione di divulgazioni ludiche o in presenza di giocatori navigati ha raccolto enorme successo. In una partita a notte fonda del Direttivo di Morbo Ludens raggiunto il livello 7 c’era una tensione al tavolo da tagliarla con il coltello. Chi lo ha provato dopo la prima partita ha spesso cercato di coinvolgere altri amici per farlo provare, parlo non solo di appassionati di giochi ma anche neofiti. Sono convinto che alla fine il premio andrà ad Azul, ma se vi piacciono i giochi cimentatevi quanto prima in un paio di mani di The Game.
Commento (1)
Modena Play 2018 - day two - Morbo Ludens| Giugno 3, 2018
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